0f5d33268eaf4437a92df348787eb438 Assemblea Italia: marzo 2012

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giovedì 8 marzo 2012

Evoluzione storica del debito e della spesa pubblica italiana

1) Storia del debbio pubblico Italiano
Dopo la seconda guerra mondiale l’economia globale aveva cominciato a crescere rapidamente, trainata dagli USA. Il basso costo dell’energia, sommato alla particolarita’ italiana dei bassi salari, ci dava un vantaggio competitivo. In questo modo il nostro PIL comincio’ a crescere piu’ velocemente degli altri. Inoltre con la nascita della Comunità europea l'Italia forniva forza lavoro agli altri paesi, e questi fornivano capitali e competenze all'Italia.  
Nel 1973 avevamo ormai quasi raggiunto gli altri Paesi. Ed era tutta l’Italia ad essere cresciuta, anzi, al Sud la crescita era ancora più rapida che al Nord. Si pensi che mentre nel 1948 il reddito medio di un abitante del Sud Italia era pari al 47 per cento di quello di un abitante del Nord Italia, questa percentuale nel 1975 era del 60 per cento. Differenziale ridotto soprattutto grazie all’emigrazione verso le fabbriche del Nord dei padri di famiglia del Sud, che riuscivano a mandare alle proprie famiglie gran parte del loro stipendio.
Ma la competitività dovuta ai bassi salari, non è eterna, in Italia duro’ vent’anni. Cominciarono rivendicazioni salariali e gli scioperi, tra il 1968 e il 1973 il livello dei salari degli operai raddoppiò, aumentò anche la pressione fiscale sui redditi, senza escludere quelli dal lavoro dipendente. Il secondo fattore produttivo che incremento’ il suo costo fu l’energia, il prezzo del petrolio al barile passa in breve tempo da 3 dollari a 12 dollari. La produttività del lavoro non cresce anzi diminuisce, in contemporanea con gli orari di lavoro.
L’Italia a questo punto ha due strade da percorrere, operare una pesante riforma strutturale, cercando una nuova strada per la crescita, cercando di trovare la sua competitività in altri fattori ad esempio, puntando alla soluzione dei suoi problemi. Oppure non affrontare il problema. Ovviamente sceglie la seconda strada, piu’ facile nel breve periodo, ma che si dimostrerà disastrosa nel medio-lungo periodo.
Gli aiuti: arriva l’intervento pubblico a salvare chi strilla di piu’, o chi porta più voti. Che siano essi pensionati, operai, piccole imprese o abitanti del Sud. Interventi che finiscono per pesare sul bilancio dello Stato. Ad aggravare il tutto vi era una classe  politica debole, che per reggersi doveva accontentare tutti e non scontentare nessuno. Rimandando all’infinito quelle riforme necessarie ma impopolari.
Ecco l' idea, usare la svalutazione della lira come vantaggio competitivo. Svalutando la lira si poteva riconquistare competitività sui costi confronto ai Paesi in cui esportavamo i nostri prodotti. Si tratta di un trucco che dura poco. E per le imprese in difficoltà,  aumentarono gli aiuti statali, con la cassa integrazione guadagni e i prepensionamenti. Anche le piccole imprese (che costituivano il 97 per cento del totale) ricevettero forti aiuti, sotto forma di incentivi. Imprese che avevano vantaggi a restare piccole. In questo periodo, tra la meta’ degli anni ’70 e la prima meta’ degli anni ’90 nacquero e si diffusero anche le pensioni non coperte dai contributi. Che aggravarono ulteriormente la già drammatica situazione del bilancio pubblico (il debito previdenziale viene oggi stimato tra il 120 e il 150 del PIL).
Debito pubblico: Il fatto che il debito pubblico fosse diventato più costoso non fermò pero’ la politica dell’indebitamento e della spesa pubblica. Cosi’ dopo il decennio dell’inflazione (anni ’70) arrivo’ il tempo del debito pubblico (anni ’80), proseguendo anche con le svalutazioni della lira, per non perdere troppa competitività.
Negli anni ’90 pero’ avviene un importante mutamento delle condizioni. Da un lato lo scandalo di Mani pulite, dall’altro un debito pubblico al 120 per cento del PIL e la perdita continua di competitività con un PIL che cresce sempre meno. L’Italia e’ vicina alla crisi finanziaria. Alto debito pubblico, spesa incontrollabile, margini ridotti per gli aumenti della tassazione. L’Italia e’ in trappola e gli speculatori ne approfittano. L’Italia è dunque costretta a svalutare fino ad uscire dal Sistema monetario europeo nel Settembre del 1992. In queste condizioni drammatiche, il Governo Amato ridusse il debito pubblico tendenziale di 90 mila miliardi di lire. Una cifra enorme, il 7 per cento del PIL. Nel 1993 Ciampi continuo’ l’opera siglando un accordo di moderazione salariale. Con il Trattato di Maastricht del 1991, con Amato, Ciampi, Dini e Prodi l’Italia inizio’ il difficile cammino verso l’equilibrio del bilancio, con la prospettiva e il desiderio dell’ingresso nell’euro. Il rapporto tra deficit pubblico e PIL scese dal 10 al 3 per cento e la spesa pubblica al netto degli interessi scese dal 43 al 41 per cento del PIL. Dal 1994 al 2001 l’indebitamento delle pubbliche amministrazioni e’ diminuito di quasi 8 punti (da 9,3 a 1,4).
Nell'ultimo ventennio la storia si è ripetuta, la politica usa la spesa pubblica in campagna elettorale, non fa le riforme strutturali che tanto servono, e si occupa solo del breve periodo, ignorando del tutto le future generazioni.
2) Storia della spesa pubblica italiana
A partire dal XX secolo la spesa pubblica è aumentata considerevolmente e in maniera generalizzata in tutti i paesi europei e extra-europei economicamente egemoni. Nel periodo tra le due guerre mondiali e della “grande depressione” si è fatto leva sulle politiche espansionistiche, si è capito quanto possa essere significativo il peso della spesa pubblica sul Pil, nella nseconda guerra mondiale è cresciuta enormemente la della spesa militare.
Dal secondo dopoguerra fino agli anni ottanta, periodo in cui il coinvolgimento crescente dello Stato nell’economia ha portato a un incremento della spesa da destinare all’azione pubblica allocativa, redistributiva del reddito e di stabilizzazione ciclica, è stato rapido e significativo l’aumento della spesa motivata dalle politiche keynesiane. In questi anni i sistemi di welfare hanno contribuito all’incremento e rafforzato il nuovo ruolo dello Stato. Nel 1980 la spesa pubblica ha raggiunto in Italia il 40,6 per cento del Pil contro il 30,1 per cento del 1960; in media i paesi europei sono passati dal 29,5 per cento del 1960 al 46,8 per cento del 1980; i paesi extraeuropei sono passati dal 24,2 per cento del 1960 al 35,2 per cento del 1980.


È stato definito un aggregato rappresentativo della spesa sostenuta per la produzione pubblica, indicativo della quantità di risorse correnti assorbite dalle amministrazioni pubbliche per fornire alla collettività i servizi richiesti. Tale aggregato è ottenuto come somma delle spese per il personale, l'acquisto di beni e servizi utilizzati nel processo produttivo e l'acquisto sul mercato di beni e servizi trasferiti alla collettività senza alcuna trasformazione.
La spesa direttamente legata alla produzione di servizi è cresciuta notevolmente nell’arco dell’ultimo secolo e mezzo in tutti i paesi analizzati, passando da meno del 10 per cento a circa il 22 per cento del Pil. L’incremento è generalmente guidato dall’aumento delle spese per il personale, che mediamente è raddoppiato tra la fine dell‘800 e gli anni trenta e tra gli anni trenta e sessanta. Nel primo periodo questo aumento si riflette direttamente sull’andamento dell’indicatore, mentre nel secondo è stato compensato parzialmente dalla diminuzione delle spese per l’acquisto di beni e servizi connessi alle attività belliche legate alle due guerre mondiali e alla ricostruzione. Dopo gli anni sessanta la spesa direttamente legata alla produzione dei servizi sul Pil ha continuato a crescere, anche se con una dinamica assai più contenuta rispetto al periodo precedente.
In Italia la spesa direttamente legata alla produzione di servizi in rapporto al Pil si mostra inferiore a quella di altri paesi analoghi e negli ultimi anni si è assestata su valori pari a circa il 19 per cento del Pil.
3) Riflessioni
In questi mesi si cerca una soluzione per diminuire il debito italiano, debito che mette una seria ipoteca sul futuro di noi tutti. È importante non commettere sempre gli stessi errori, cioè non bisogna confondere le cause con gli effetti; In passato le politiche keynesiane sono state completamente travisate, nate per essere politiche anticicloniche sono diventate parte del ciclo economico, invece di aumentare la spese per investimenti (infrastrutture) in caso di crisi,  e ridurla in caso di espansione economica, si è scelto di aumentare la spesa corrente (cioè numero di dipendenti, e acquisti correnti) sempre e comunque, cosi da aumentare inflazione e debito. Sono nati enti pubblici intuitili, esubero di dipendenti in tutta la pubblica amministrazione, grandi opere incompiute, o compiute a costi quadruplicati, sprechi politici di ogni tipo.    
Dobbiamo riprendere a crescere quanto o più degli altri, e per farlo dobbiamo capire il nostro ruolo internazionale, occorre investire in tecnologia e conoscenza, creare un capitale umano capace di accogliere le nuove sfide, creare un terreno fertile per accogliere il capitale straniero, eliminare le distorsioni alla concorrenza, togliendo tutti quegli incentivi e sussidi che creano disincentivi allo sviluppo e alla crescita. Eliminare gli enti inutili e controllare e responsabilizzare gli enti pubblici, terreno fertile per aumenti di spesa improduttiva e favori poco trasparenti.